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Enzo Lamartora (Napoli, 29 maggio 1965) è un poeta italiano, autore di varie raccolte di versi. Ha tradotto opere di Arthur Adamov, Dominique Grandmont, Philippe Sollers. I suoi libri sono stati tradotti in inglese e tedesco.

Dal 2002 al 2009 ha diretto la rivista di arti, culture e riflessioni “Passages”, edita da Crocetti Editore prima, da Passigli Editore dopo.

Per “Passages” ha tradotto La Confessione di Arthur Adamov (portata in scena da Roberto Trifirò al Teatro OUT OFF di Milano nel maggio 2008), L’Infinito di Philippe Sollers, e pubblicato poesie e opere inedite di Franco Loi, Giorgio Barberi Squarotti, Katerina Anghelaki-Rooke, Valerio Magrelli, Giuseppe Manfridi, Paolo Puppa e altri (vedi: Note/Introduzione a Passages).

Ha tradotto l’antologia delle poesie di Dominique Grandmont, Memoria del Presente, Tarabuste, 2018 (non ancora pubblicata).

Ha scritto diversi articoli per la rivista “Poesia”, di Nicola Crocetti, per la rivista “Anterem” di Flavio Ermini, per il mensile “MicroMega”+ e per il quadrimestrale “Mission” (Franco Angeli).

Ha tradotto e introdotto “Angolo tavolo finestra” di Dominique Grandmont, sul numero 335/2018 di “Poesia” (Crocetti Editore).

Sul numero 319/2016 di “Poesia”, Giannino Balbis ha dedicato uno studio alla poetica di Enzo Lamartora.

Nel 2024 ha fondato “cultradio”, una webradio che ha cominciato a trasmettere il primo ottobre 2024, e che ha come collaboratori poeti, scrittori, musicisti. Ha intrapreso un progetto che prevede la lettura dei numeri della rivista “Poesia” di Nicola Crocetti, e la loro trasformazione in altrettanti podcast.
L’archivio che ne scaturirà sarà consultabile sul sito internet della radio web (www.cultradio.org/archivio-programmi).

VOLUMI DI POESIA:

  • Nel corpo tuo rimorso, poesie 1986-2001 (Crocetti, 2002)
  • La dimensione della perdita, poesie 2002-2016 (Crocetti, 2016, introduzione di Mario Rocco Morano)
  • It Was, poemi 2010-2015 (La Vita Felice, 2017, introduzione di Paolo Puppa)
  • Disamore, poesie 2017 (La Vita Felice, 2021, introduzione di Mario Rocco Morano).
  • The Autumn of Love, raccolta di poesie pubblicata (testo a fronte) negli Stati Uniti con la traduzione di Michael Palma, Gradiva Publications (NYC, 2019).
  • It Was, poems 2010 – 2015, traduzione Michael Palma, Fomite Press, 2023.
  • Das ausmass des verlusts, traduzione tedesca di Hans Raimund, PEN Locker, Vienna 2022.
  • Attendersi di là, poesie 2017, Introduzione di Giannino Balbis, La Bussola, Roma 2022;
  • Rosso. Interludio, poesie 2018-2019, Raffaelli Editore, Rimini 2022;
  • The dimension of loss, two long poems, tradotti da Michael Palma, Fomite Press, 2024.

TITOLI RECENTI:

Rosso. Interludio, Raffaelli Editore, 2022

Rosso. Interludio, Raffaelli Editore, Rimini 2022

…dall’Introduzione

Rosso. Interludio è una fotografia impietosa dei conflitti che attraversano i rapporti coniugali. È una scena da un matrimonio, un film in bianco e nero, alla maniera di I. Bergman.

In essa, vi sono due interlocutori: la voce narrante, l’Io, e l’altra. Lui e Lei. Due prede finite nella trappola delle relazioni d’amore; due volatori caduti nella rete della quotidianità, nella quale non c’è altro da fare che guardare freddamente alla propria mutilazione e a quella dell’altro. La macchina da presa del poeta si stringe sull’interno della stanza dove i coniugi feriscono, tradiscono, si tirano in faccia tutta la crudezza della verità, si rinfacciano la mancanza di tempo, di fortuna, di senso. Ognuna di queste parole, scagliate e laceranti, è una poesia, dura come una pietra tagliente. Ballast, come avrebbe potuto chiamarla l’Autore.

Il tono affettivo dominante della raccolta è quello della crisi, espressa nel modo silenzioso di Bergman, nel modo compresso di Strindberg, di Ibsen. Rosso è “quel sangue rappreso, che asciuga nelle vene, che non vedi”. Dunque, una lacerazione, una crisi che diventa un processo patologico interno, vissuto nella carne. Un male primordiale, quando si ha solo un grido per esprimersi, il riso o il pianto. Quando non si ha che una reazione di fronte all’angoscia: scappare o aggredire.

In Rosso. Interludio, prosegue la ricerca poetica cominciata ne La dimensione della perdita, dove il canto, l’incanto e la musica della prima raccolta, Nel corpo tuo rimorso, erano già svaniti di fronte alla perdita, alla dimensione pervasiva di una perdita che non è solo reale ma anche psicologica e simbolica, ovvero non riguarda soltanto gli oggetti esterni, quanto e soprattutto il senso, l’incanto, il sogno, la speranza, l’illusione, la sorpresa, la meraviglia.
Ma qui, in Rosso. Interludio, la leggerezza e l’incanto aurorali della poesia diventano gravità minerale, si concretizzano, diventano pietrisco (…continua…).

Sono un volatore

Sono un volatore.
Trasmigro tra le nuvole nere dell’oblò
quando il mondo dorme.
Son costretto a volare, certo.
Presto o tardi, l’inverno ricade sul nido,
e allora bisogna tornare indietro,
trovare un comignolo.
Dire che il viaggio è stato duro non è corretto.
Ma che ad ogni stagione si perdano
voci e baci e incontri, questo sì che è vero,
e non è poco, l’incerto.




Stavo per scriver “rosso fine”

Stavo per scriver “rosso fine”.
Come titolo pareva efficace.
Rosso è quel sangue rappreso
che asciuga nelle vene.
Dopo la guerra, dopo le ferite.
Rosso va bene allora. Non lo vedi.
Secoli interi di solitudine nascosta dai vetri,
venti di aquile che sferzano il cielo
e ancora siamo qui a litigare,
però della fine – dici – non voglio parlare.




È appena un lampo questo sorriso?

È appena un lampo questo sorriso?
Questo brivido che mi hai lasciato
sotto il tetto, così, salutandomi?
Perché io invece mi riparo da un temporale,
mi preparo per l’amore e per il male.




Cado. Mi illudo. Cado.

Cado. Mi illudo. Cado.
È questa l’altalena della vita.
In questa solitudine continua
mi giro, e non trovo il tuo sguardo.




Se vuoi trovarmi, cercami dove non sono

Se vuoi trovarmi, cercami dove non sono,
dove non dovrei stare, non dovrei dire,
non dovrei fare.
Probabilmente è lì che mi trovo,
con tutta la verità che nascondo.




La prima volta che ho capito

La prima volta che ho capito
di amarti davvero
è quando ti stavo tradendo
eppure a te pensavo.




Oppure è un interludio tutto questo

Oppure è un interludio tutto questo,
sì, ci voglio credere.
Appena mi guardi dimentico tutto,
appena mi tocchi, mi chiami, sorridi.
Sei la rosa bagnata in cui torno,
e io sono il drogato di sempre.

Attendersi di là, La Bussola, Roma 2022

Attendersi di là, poesie 2017, La Bussola, Roma 2022

……..dall’Introduzione, di Giannino Balbis

Credo sia opportuno iniziare la lettura di questa nuova raccolta di Enzo Lamartora da “Scrivi in modo comprensibile” che, in chiave di monito rivolto dal poeta a se stesso, dichiara la poetica da cui muovono e verso cui tendono le liriche di Attendersi di là e su cui si fonda, a ben guardare, l’intera produzione di Lamartora. “Scrivere in modo comprensibile” soltanto “di ciò che si è sofferto”: non si possono delineare più chiaramente e nettamente di così i perimetri formali e contenutistici di un progetto letterario. Prima c’è la vita, con la verità delle sue labili conquiste e delle sue perdite più dolorose, i suoi brevi sorrisi e le sue lunghe pene; poi c’è la poesia, che di tutto si fa carico, in piena e sincera confessione, con la ferma volontà di chiarire, comprendere, superare. Non poesia per se stessa, dunque, non quella che cerca la gloria nell’applauso dei dotti, ma una poesia-fiore capace di superare l’inverno, di disseminare per aria / la parte migliore del suo creatore. Così – soltanto così – la voce di una singola vita, di una sola anima può sperare di diventare un giorno la voce di tante vite e tante anime. Misterioso e miracoloso destino della vera poesia.

Tema conduttore della raccolta, quindi, è un processo di distillazione di senso da ciò che si è patito o sofferto: le sconfitte grandi e piccole di ogni giorno, i conti che continuamente si aprono e restano da saldare, le voragini di solitudine che lasciano le partenze senza ritorno delle persone più care. La raccolta appare così come una lunga richiesta-promessa di appuntamento oltre la vita, oltre il tempo: l’appuntamento in quel non-luogo e non-tempo in cui è possibile riannodare ciò che la morte divide, mantenere congiunte le anime, conservare il bene che anche le perdite supreme possono produrre in termini di valori e sentimenti. È un di là imprecisato: sembra a tratti quello saldo della fede, a tratti quello di una timida speranza carica di fragilità umana, a tratti quello dell’illusione prodotta dall’onda troppo lunga del dolore. Un aldilà definibile probabilmente solo in negativo, come rovescio dell’aldiqua, come assoluto bisogno di una dimensione altra: e dunque solidamente esistente in quanto tale, proprio perché privo del riscontro oggettivo di cui abbisogna la realtà apparente del qui-ora.  (… continua…).

Uscendo di casa

Uscendo di casa
sentii un profumo fortissimo
fruttato, trascinante.
Gelsomino forse,
un corpo nudo,
il fresco del bucato appena fatto.
Chiusi gli occhi,
feci cadere la risma dei fogli
che avevo tra le mani.
Ero lontano ormai,
leggero, distaccato.
Potevo tornare a sognare,
tornare all’amore, ai vent’anni.
A domani.




Dopo l’inverno, l’estate

Dopo l’inverno, l’estate.
Dopo il disamore, l’amore.
È il ciclo delle stagioni
che si rinnova.

Sotto la gronda,
già vedo due rondini
rincorrersi nel vento,
ricamare che è vero
che la vita ritorna.




Mia figlia

Mia figlia mi tocca, di notte,
col suo morbido braccio.
Si stende nel letto, si rotola, si allarga,
come se io non ci fossi.
Oppure, come se ci si potesse scambiare
di corpo, di spazio, di sogno.
Attendendo che Orfeo




Eccomi qui

Eccomi qui, di nuovo,
nella casa dell’infanzia
la sola che ho amato, mi ricordi.
Forse.
Ma qui le cose sono leggere.
Un ragno s’arrampica sopra la tenda,
sapendo di non essere temuto;
la polvere si posa sui mobili
senza destare occupazione.
Qui le cose capitano all’aria,
lente, appena riscaldate dal sole;
qui il tempo può fare il suo corso,
andarsene e tornare,
sbiadire ed ammalare, senza scalpore.
Tu dici solitudine.
Io parlo di altro amore.




Finita l’estate

Finita quest’estate, dovremo cambiare.
Troppo lungo è l’inverno,
troppo lunga la distanza
tra un viaggio e l’altro,
tra un mare e l’altro,
tra me e te.
Lasciamo perdere le navi d’altura.
Forse le barche potranno bastare,
per essere felici.





Recentemente, Enzo Lamartora è stato ospite – come rappresentante dell’Italia – della Manifestazione “La tarda estate dei poeti”, organizzata dal Lyrikkabinett di Monaco e tenutasi presso l’Institut Français de Monaco. https://iicmonaco.esteri.it/iic_monaco/de/gli_eventi/calendario/2022/09/la-tarda-estate-dei-poeti-festival.html

Nel 2022 è stato inserito tra i poeti italiani dal sito http://www.italian-poetry.org
http://www.italian-poetry.org › enzo-lamartora

Nel 2022 è stato inserito ne L’almanacco dei poeti e della poesia contemporanea, n. 9/2022, Raffaelli editore
https://www.raffaellieditore.com/almanacco_dei_poeti_e_della_poesia_contemporanea_n_9_2022





VOLUMI DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE:

Enzo Lamartora, Prima parola, poesie 2020-2021, Crocetti, Milano 2026

Enzo Lamartora, In fine, poesie 2022 (in press).

Enzo Lamartora, Poemi d’amor perduto, 2021-2022 (in press)

Acknowledgments

Devo ringraziare moltissime persone, non solo per il dono della poesia che ho ricevuto, non solo per ciò che ho scritto, ma proprio per ciò che ho potuto diventare. Senza l’amore e il sostegno di queste persone, senza i loro sogni e ideali, senza la loro vicinanza e testimonianza, non mi sarei nemmeno avvicinato ad essere ciò che ero. A ognuna di esse quindi va il mio debito di riconoscenza.

Ringrazio innanzitutto i miei amici di sempre, Pino D’Alessio (1) – amico in tristitia, con cui ci siamo ritrovati insieme su tutto ciò che abbiamo mancato: siamo stati uomini maudits, accompagnati dalla tentazione di vivere secondo i canoni della normalità, quando normali non eravamo. Siamo stati lo scrigno dei segreti, l’uno dell’altro – e Alfonso Benedetto (2), amico in hilaritate, forte, determinato, coraggioso, sorridente, capace di sdrammatizzare in due parole: siamo sempre stati il sorriso, l’uno dell’altro. Ringrazio i miei amici delle elementari, Pino Nacarlo e Francesco Russo: ci siamo voluti bene sin da quando avevamo il fiocco al grembiule, e poi ci siamo ritrovati dopo 50 anni, nella stessa strada natia! Ringrazio Enzo Provitera (3) e Bianca Lamartora (4) (mia sorella antigone generosa), Pasquale Sarcone, suo padre, le sue zie (5) -; quelli che ho incontrato ben presto lungo il cammino – Biagio e Sara Gallo (6), Letizia Chiarella (7), alla cui tavola ancora sono lieto di essere ospitato; e poi Sergio Caiazzo e Alfonso Tortora, con cui ho trascorso gli anni spensierati dell’Università (8), sognando di donne e di futuro. Ringrazio Paolo Foretier e Marco Foretier (9), per avermi introdotto a un mondo che non conoscevo, quello della montagna, del freddo, della Valle d’Aosta; ringrazio Calin Barna e sua moglie Amélie, per avermi affiliato a Grenoble, aiutandomi ad amare la Francia che ancora ho nel cuore: non dimenticherò le raclettes, le tartiflettes, le gite in Puglia e in Marocco, dove abbiamo recitato la parte di Unphrey Borgart e Ingrid Bergman in Casablanca (10). Ringrazio Luca Laurent, amico burbero e gentile, pittore geniale di oli su legno (11). Ringrazio Paolo Servi, la sua bontà intelligente, la sua capacità di narratore e vignettista (12), Cinzia Sciuto, amica affettuosa e intelligente, direttrice di MicroMega, scrittrice e giornalista, e suo marito Davide (13), con cui abbiamo passato alcune giornate memorabili tra Napoli e Positano; Mariano Scaglione (14), con cui ho condiviso intere stagioni a parlare di jazz e di scienza; ringrazio Roberto Mancini e sua moglie Paola Sandrone (15), cara amica intelligente, con cui ho attraversato i lunghi anni di un servizio di provincia; ringrazio Gregorio Salis (16), mio compare di battesimo, il suo primo violoncello 4/4, le sue case di Bosa, le sue maglie infeltrite; ringrazio il mio amico fraterno e poeta Nicola Scapecchi (17), che come me ha percorso le montagne del cambiamento, e Giuliano Fuortes (18), amico ritrovato, poeta raffinato. Ringrazio Roberto Musella, amico e compagno nella psicoanalisi, e segretario della SPI. Ringrazio Marina Astrologo (19), la sua cultura, la sua ospitalità, Andrea Valdevit (20), il suo garbo, il suo affetto sincero, la sua beltà mentale, Pasquale e Bianca Di Caterina (21), la loro autenticità, Luca Popolo (22), polùmetos e generoso -; ringrazio Betta Fiordiliso per la sua ospitalità: ci ha ospitato moltissime domeniche a casa sua, accogliendoci e vestendoci della sua disincantata malinconia. Ringrazio anche Salvatore Tirella e sua moglie Giusy (23), sono stati una bella scoperta degli ultimi anni, amici promettenti, veri, generosi, costruttivi. Con loro abbiamo passato belle giornate estive a Vieste. Ringrazio, per la stessa leggerezza spensierata, Alessandro Cresto e sua moglie Fanny, Paolo ed Elisa, Veronica a Patrick, Denis e Consuelo (24).
Ringrazio quelli che mi hanno preceduto nel viaggio verso l’ignoto – Maurizio, un genio delle lettere classiche, che a sedici anni fu chiamato a insegnare alla Normale di Pisa, e a 19 si defenestrò (25)! Giacomo Gobbi (26), Macario Principe (27), Maria Pirillo – nella cui bella casa romana ho dormito, cenato, studiato (28)-; Giancarlo (29) e Valerio (30) – amici sfortunati, dipendenti da uno sguardo, una parola, dall’alcol -, e il mio amato Alfonso Benedetto -. Nelle curve perigliose della vita, gli amici sono stati i veri fratelli di viaggio, con cui ho giocato, ho suonato, ho amato o mi son perso. L’amico del cuore… qualcuno l’ho sentito davvero un'”eterna presenza”. Ognuno di questi nomi è una pietra miliare, sulla strada che ho corso.

Ringrazio le donne e gli uomini buoni, che mi hanno infuso grazia e dolcezza, lasciandomi negli occhi la luce delle stelle. Ida D’Alessio (31) e Patrizia Ruosi (32), Lina Popolo (33), Noelle (34), Edoardo Ferrario (35): ricorderò per sempre il giorno in cui, a Villa Mirafiori, ha citato l’Ifigenia, che gli avevo presentato nella mia traduzione. Era capace di consolare chiunque, e un giorno, spero, troverà il sorriso di tutti, e sarà consolato.
Allo stesso modo, ringrazio zio Pino (36), anima gentile e mite, disponibile e sorridente, umile e generoso. Da lui ho ricevuto il più bel presepio napoletano, le pastiere, il casatiello e gli struffoli migliori di sempre.

Ringrazio le donne che mi hanno sempre amato, per la ricchezza di senso che mi hanno lasciato: senza di esse avrei oscillato più pericolosamente sulla fune della follia – Francesca (37), Martine (38) e Franca Touscoz (39). “La prima parola e l’ultima l’hanno detto l’amore e la rivoluzione…” (G. Ritsos). Le loro braccia, i loro corpi, il loro amore sono stati il solo rimedio allo smarrimento, per molta parte della mia vita. Ho scritto decine di lettere e poesie grazie a loro. Eppure, ogni parola è povera, rispetto alla gioia profonda di averle incontrate ed averci convissuto.

Ringrazio i bambini che mi hanno trattenuto nell’infanzia. Senza la loro meraviglia sarei cresciuto molto prima, avrei disceso la spelonca della normalità, come invece non è stato: Riccardo ed Eleonora (40), Giulia e Matteo Benedetto (41). Tutti i pomeriggi trascorsi a cercare parole sui libri o sui giochi sono stati preziosi, guadagnati all’infanzia. Insieme a loro, ringrazio lo stuolo di bambini con cui sono cresciuto per le strade di Pompei, ad Ascoli: Marcello, Gianni, Rosario, Lino, Tonino, Pasqualino, Rocco, Antonio, Liliana, Rosanna, Sandra, Antonella, Savia, Carmine: (42) tutti costoro hanno solo il nome, poiché i bimbi del mondo appartengono tutti alla stessa famiglia, quella del gioco, dei giochi senza frontiere (che ogni estate organizzavamo). Parimenti, ringrazio i bambini di Roisan, Amélie e Noà, Enea, e Mila, Kevin e Cloe (43).

Ringrazio i vecchi che mi hanno insegnato a percorrere le rughe del viso come una mappa, accogliendo le piaghe, la demenza, la solitudine: la loro lezione è quella dell’amore. Non li dimenticherò. Ringrazio molto mio padre (44) – maestro severo di disciplina, dal quale ho imparato che un uomo risiede nella sua capacità di tener fede a una promessa, a un impegno, a costo di sacrificare se stesso: non conosco altra matrice del rispetto – e mia madre (45), per avermi amato senza inghiottirmi, per avermi impartito la vera lezione dell’amore, quella del dono senza riserve. La sua ospitalità e la sua generosità sono state uniche e ineguagliate. A loro, a tutta la mia famiglia (46) ho dedicato una raccolta di versi. E’ stata una famiglia complessa e conflittuale, ma traversata dalla creatività e dalla cultura: mio padre aveva acquistato diversi quadri d’autore, era abbonato a Epoca e Storia Illustrata. Da me si dipingeva, si disegnava (zia Carla), si leggeva La Repubblica ogni giorno, sicché la passione per i libri e la cultura, mi è rimasta: per trent’anni ho letto anch’io le pagine di Repubblica e Le Monde Diplomatique (47): le riflessioni approfondite di Scalfari, Celati, Cordero, Denis Duclos, Ignacio Ramonet, di Serge Halimi corrispondevano ai miei ideali di giustizia sociale e umanesimo. Ringrazio, zia Carla (48), per avermi insegnato a guidare la 500 quando avevo cinque anni: grazie alla sua fiducia, potevo sognare d’essere Villeneuve. Ringrazio zio Cosimo (49), per le corse in Ferrari, d’estate, col vento sulla faccia: senza la sua allegria non sarei diventato un funambolo. Ringrazio zia Mema (50), che mi ha amato a prescindere: da lei ho appreso l’importanza e il piacere della memoria, il culto degli avi, a cui dobbiamo riconoscenza. Ringrazio anche zio Augusto, uomo positivo e sorridente: anch’egli ha contribuito a rendere migliore il mio quadro d’infanzia. Ringrazio Rita Glesaz (51), donna gentile e coerente, capace di creare quei piccoli momenti di unità in cui ti senti in famiglia: abbiamo imparato a volerci bene insieme, e a farlo nel tempo.

Ringrazio tutti i pazienti incontrati in tanti anni di analisi, uomini e donne speciali che insieme a me hanno varcato le cime dell’angoscia. Li riconosco, solitari che hanno avuto il coraggio di vivere contro corrente, di pagare con la sofferenza la propria “differenza”, rivendicando il diritto ad essere se stessi, a dispetto degli steccati normativi della comunità. Tra loro, ringrazio Serena Viola, Donatella, Olga, Annalisa. Ricordo con particolare felicità Claudia, Elisa, Désirée: hanno avuto la sventura di nascere in contesti traumatici, di subire abusi e lutti gravissimi, eppure hanno saputo cercare aiuto, trovare un terapeuta e riprendere una vita accettabile.
Ringrazio Yassine Akanour, amico gentile e mite, dalle cui mani ho ricevuto il più bel caftano che ho mai visto.

Ringrazio i miei amici ideali, quelli con cui ho tanto parlato, sognato, litigato, quelli che mi hanno insegnato tutto ciò che sono della morale e dell’etica. Il mio fratello di sangue Gesù, dal cui sacrificio è scaturito l’amore – come lo intendiamo – e la sua centralità nelle cose umane; da lui abbiamo imparato che se si ama davvero si perdona, che occorre amare gli altri più di se stessi. Ringrazio Calvino, da cui ho appreso che l’amore sta nelle opere, nelle cose che concretamente facciamo per incontrare l’altro. Ringrazio mio fratello Jean-Jacques Rousseau (52) la cui Origine sulla diseguaglianza tra gli uomini mi ha reso un illuminista fin da ragazzo, e le cui Confessioni mi iniziarono a una specie di primaria educazione sentimentale; ringrazio per lo stesso motivo Blaise Pascal e Agostino, i cui pensieri leggevo a letto, la sera, accanto a mio padre. Ringrazio Immanuel Kant, il cui studio approfondito ha contribuito a insediare in me gli ideali del cosmopolitismo, della giustizia, della pace universale (53); ringrazio Karl Marx, per avere contribuito a disegnare un mondo possibile, fatto di giustizia e uguaglianza (54); Jean-Paul Sartre e Albert Camus, per avere scritto alcuni tra i più impietosi ritratti della dolorosa condizione umana, come La Nausea e A mani chiuse, Lo straniero e il Mito di Sisifo. Ringrazio Theodor Adorno e Max Horkheimer, Karl Kerényi e Karl Korsch e tutta la critica marxista della letteratura. Ringrazio i miei amatissimi Michel Foucault (55) e David Cooper (56), Aaron Esterson e Ronald Laing, Gilles Deleuze e François Guettari, Herbert Marcuse (57) ed Eric Fromm (58): i loro libri hanno cambiato la coscienza delle società, hanno socializzato la follia, hanno denunciato come l’Edipo, benché utile, sia un meccanismo sociale e familiare di potere; hanno delineato un’utopia di libertà, di autenticità e di affrancamento dal controllo sociale. Un giorno l’uomo sarà libero dalla malattia del possesso totale ed esclusivo dell’altro, le cui fondamenta risiedono nell’identificazione, confusa e perversa, della relazione con il sesso. Sulla scia del loro insegnamento, dobbiamo lottare affinché la sessualità sia disgiunta finalmente dalla relazione, così com’è lo è stata dalla procreazione. Un giorno questo accadrà. Potremo amare più persone e restare con una sola per tutta la vita, senza trovare tutto ciò contraddittorio, condannabile e traumatico.
Ringrazio ancora Zygmunt Baumann e Christopher Lasch per aver denunciato (Baumann) come l’individualismo capitalista e l’assenza di garanti metapsicologici solidi della società produce una quantità sempre maggiore di scarti umani, e per aver compreso (Lasch) come lo spostamento dell’interesse sociale per l’estetica del corpo avviene a discapito della relazione. Ringrazio Joseph Stiegliz, per aver denunciato come l’economia mondiale sia governata da un manipolo di tecnocrati cattivi e cocainomani. Ringrazio Emil Cioran (59), Vladimir Janckélévitch (60) e Peter Handke, per la lucidità con cui hanno parlato della tragicità di un’esistenza vissuta nella coscienza e la complessità. Nei lunghi pomeriggi smarriti della mia giovinezza, la lettura delle loro amare considerazioni mi ha fatto sentire meno solo.

Ringrazio quei maestri del pensiero, che non sai catalogare da nessuna parte e che pure ti cambiano, ti imprimono il loro amore per la cultura, la complessità, l’eleganza. Ringrazio Edmondo De Amicis e il suo Cuore (61), il primo libro che mio padre mi diede da leggere, e che costituisce a mio avviso un capolavoro di formazione etica. I suoi personaggi, così spesso svalutati, sono per me simboli di silenziosa dignità, e non affatto figure da cui marcare la distanza. Allo stesso modo, ringrazio Johann Wofgang Goethe per il suo Werther (62): ricordo ancora la commozione quando lo lessi la prima volta in treno. A distanza di quarant’anni, penso ancora che morire per amore sia l’unica possibilità da porre, se si vuole fondare un vero legame. Ringrazio Enrico Bignone (63), per la sua letteratura latina (che mio padre mi diede da leggere), e Ugo Enrico Paoli (64), per la sua traduzione dei Carmi di Orazio: la lettera che egli dedica al suo maestro Bignone – tra l’altro -, è una testimonianza di profonda amicizia. Ringrazio Ettore Paratore e il suo Virgilio (65): quando l’ebbi per le mani la prima volta, fui felicissimo: tagliai i sedicesimi con trepidazione, come si taglia un’ostia per la comunione: me lo fece conoscere Maurizio Di Lorenzo, e questo lo rendeva ancora più prezioso. Ringrazio Gianfranco Contini (66), per la sua lunga fedeltà alla lettere e la sua docenza trascinante: è stato un esempio di rigore e studio attento. Per la stessa ragione, ringrazio Walter Binni (67) e Mario Fubini (68), che tanto sono rimasti sui miei banchi di liceo come esempi di impegno e cultura. Ringrazio Hans George Gadamer per il suo saggio su Paul Celan (69), che lessi molte volte, così come tante volte ho letto i Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes (70), mirabile modello di cultura e intelligenza. Ringrazio Werner Jaeger (71) per la sua Paideia, che molto mi ha influenzato: la formazione dell’uomo greco, per me, è stato in se stesso un libro di educazione civica e umana. Allo stesso modo, ringrazio Raffaele Cantarella (72), per la sua bella storia della letteratura greca, e Bruno Snell (73), per il suo saggio su la cultura greca e le origini del pensiero europeo. Ringrazio Guido Paduano e Oddone Longo per le loro belle monografie su Euripide e il suo mondo poetico. Ringrazio Augusto Rostagni (74) per i suoi studi su Virgilio “minore”: da essi mi venne l’amore per l’epicureismo campano. Ringrazio Epicuro e la sua lettera a Meneceo (75): la metis kai phronesis mi sono sembrate da sempre come un ideale di autolimitazione tanto utile quanto inarrivabile.
Ringrazio Peter Weiss (76): negli anni di preparazione all’Accademia d’Arte drammatica, scelsi la sua Istruttoria, come testo da mettere in scena. E’ stato un libro identitario. La coralità con cui milioni di uomini denunciano la Shoah mi fece amare quella parte della storia contemporanea. Ne feci una messa in scena in cui il teatro di parola diventava testimonianza e riparazione. Da allora, sul balcone della mia casa sventolano le bandiere dell’Italia, della Grecia e di Israele, che per me rimane una storia interiore cui sento di appartenere. La Shoah è l’espressione non solo dell’odio umano, quanto della insopportabilità ad accettare la differenza di un popolo, come quello ebraico, che rappresenta il “seno buono” di cui parla Melanie Klein, ovvero quegli aspetti dell’oggetto che ci sono indispensabili, senza i quali non possiamo sussistere e che pertanto segnalano la nostra dipendenza dall’altro. Ecco perché ucciderlo. Elie Wiesel, un altro Maestro del pensiero, mi ha condotto alla comprensione della storia di Israele, ed è stato un modello di pacificazione con l’oggetto.

Ringrazio le mie guide dantesche, preziose e impareggiabili, che mi hanno portato per mano a discendere i gironi di me stesso: Sigmund Freud e Carl Gustav Jung, Sandor Ferenczi, Josif Breuer ed Ernst Jones, Melanie Klein e Margareth Mahler, Donald Winnicott e Wilfred R. Bion, Jacques Lacan e Didier Anzieu, Herbert Rosenfield e Otto Kernberg, Heinz Kohut e Masud Khan, Thomas Ogden e Christopher Bollas. Hanno scoperto l’inconscio, e cambiato per sempre la morale. L’uomo non è ciò che pensa di essere, è sempre diviso, sempre falsato. Ciò lo rende responsabile dei suoi atti ma innocente dei suoi pensieri e dei suoi vissuti. Abbiamo imparato che la ragione è una piccola isola sull’oceano del bisogno, e che soltanto il sogno permette di approssimarsi alla verità di se stessi. Questi Maestri hanno elaborato teorie e prassi analitiche rigorose, e contemporaneamente le hanno contraddette nelle loro vite private, dimostrando così che l’inconscio è più determinante della coscienza, e che nessuna forma di terapia può confliggere o escludere l’amore. Carl G. Jung e Sabina Spilrein, Ferenczi e Gisella Palos e poi Elma Palos; Ernst Jones e Loe Kann; Sigmund Freud e sua figlia Anna; Melanie Klein e suo figlio; Margaret Mahler e il suo analista August Aichorn; Karen Horney e il suo candidato giovanissimo; Frida Fromm-Reichmann e i suoi pazienti (e mariti!) Eric Fromm (il primo) e Donald Winnicott (il secondo); Masud Khan e la sua paziente, eccetera: ognuno di questi Maestri della Psicoanalisi si è innamorato di uno dei/delle loro pazienti, valicando il confine della neutralità analitica (77), dimostrando che l’amore per il paziente non è né controllabile né necessariamente nocivo, potendo essere considerato un viatico extra analitico delle trasformazioni auspicate in analisi. Dalle loro vite, dalle loro teorie, ho imparato che il nucleo confusivo/conflittuale degli uomini risiede nell’insostenibilità di sopportare il desiderio dell’altro, perché il desiderio altrui produce inevitabilmente un confronto col proprio desiderio, o elicita il proprio desiderio. Inoltre, il desiderio ci pone immediatamente di fronte all’evidenza che l’altro ci può sfuggire, che l’altro è differente da come lo vorremmo, e non possiamo soggiogarlo o pretenderlo come lo specchio delle nostre brame. Gli uomini spostano continuamente la coscienza di questo scacco su una miriade di sostituti laterali – le parole, il contesto, il pensiero, il corpo, eccetera – ma la verità è che il desiderio è insopportabile per la quasi totalità degli uomini, perché esso ci ingaggia in uno scambio emotivo faticoso con l’altro, e ci ingaggia alla luce del giudizio sociale, quando invece è più rasserenante negarlo il desiderio, proprio o altrui, e sostenere la recita comportamentale di un’esistenza dominata dal tratto adattativo della “regolazione” emotiva e della unificazione del soggetto.
C. Bollas ha definito “normotico” questo tratto della maggior parte degli uomini.

Ringrazio i visionari, uomini e donne folli e creativi, mossi dalla visione anticipata delle cose, capaci di creare quell’aldilà che ho sempre ammirato, sin da piccolo. La loro immaginazione, la capacità di costruire meraviglie è stata preziosa per la mia educazione umana quanto l’amore e la cultura. Voglio ricordare Giulio Cesare, la sua sete di lontananza e Adriano, la sua sete di bellezza; Alessandro Magno , la sua idea di un mondo greco e unificato, e Carlo Magno, la sua aspirazione a un mondo latino e unificato, San Francesco e San Benedetto, per la loro idea di creare una civiltà fondata sull’amore e la parola di Cristo. Ringrazio Walt Disney: ha creato il cartone animato, rendendo comprensibile e affidabile il mondo per i bimbi. Ho trascorso tutti i sabato mattina, aspettando i cartoni di Tom e Jerry, Braccio di ferro, Paperino (il mio preferito), degli Antenati, e dopo cinquant’anni, le opere di Frozen e del Re Leone – come anche quelle di Cenerentola e Biancaneve – rimangono un mondo di magia letteraria. Per la stessa ragione ringrazio Collodi, e Pinocchio, uno di noi, scalmanato e buono, ingenuo e dipendente, che ci ha portato con sé nel mondo della trasformazione. Ringrazio anche Calimero, il pulcino sfortunato della Mira Lanza, di cui zia Carla mi regalò l’intera collezione: la lessi d’un fiato, poiché evidentemente quel pulcino, Calimero, ero io. Ringrazio Lele Luzzati, la cui immaginazione pittorica e teatrale lo ha portato a costruire spettacoli e disegni di mirabile bellezza: il giorno in cui assistetti al Flauto Magico al Mercadante rimasi pervaso da una specie di estasi. Ringrazio Gunter von Haghens, per la sua geniale plastinazione del corpo e le sue sculture umane, e il mio amato Steve Jobs, con la cui idea di semplicità e raffinatezza mi sono spesso incontrato, scrivendo poesie.

Ringrazio i suicidi, che ho sempre considerato tra le persone migliori della storia. Mi hanno insegnato che appassionarsi è più importante che sopravvivere. Si può smettere di vivere, invece che trascinarsi. Ho sempre pensato a loro come ai soli uomini capaci di amare davvero. A loro, mi sono avvicinato tante volte, e se ancora non li ho raggiunti è solo per un soffio degli dèi. Ringrazio Seneca e Peter Szondi, Renato Caccioppoli (78) e Arthur Adamov (79), Antonin Artaud (80) e Cesare Pavese (81), Hemingway e Silvya Plath, Sarah Kane (82) e Primo Levi, Sergei Esenin (83) e Vladimir Majakovskij (84), Luigi Tenco, Chris Cornell.

Ringrazio i musicisti che mi hanno ispirato fin da bambino: senza la loro musica la mia vita sarebbe stato un film muto, e la mia poesia non avrebbe avuto suono. Tra questi, soprattutto Beethoven (85) e Mozart, Bach e Albinoni, Mahler, sul cui IV movimento della V Sinfonia ho pianto per la prima volta, mentre dicevo addio a un amore che si stava perdendo. Ringrazio Johannes Brahms e Frédéric Chopin, i cui notturni ho ascoltato per anni, mentre viaggiavo nel pullman di scuola, Franz Schubert e Igor Stravinski, Robert Schumann, Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini, Gioacchino Rossini e George Bizet, Maurice Ravel, Gabriel Fauré, Claude Debussy, Anton Dvorack, Nicolò Paganini, Sergeij Rachmaninov, Camille Saint Saens, Pyotr Tchaikovsky, Franck Bridge, Samuel Barber e Benjamin Britten. Ringrazio Dimitri Shostakovich (86) e Zoltan Kodaly (87). Ringrazio Vicente Amigo (88) e Astor Piazzolla, la loro malinconia trascinante e sospesa. Ringrazio Tommy Emnanuel e Ed Gherard per aver elevato il fingerpicking a musica colta. Ringrazio il suono che da anni frequento più spesso, quello di Keith Jarrett e Jacqueline du Pré. Considero il Concerto di Vienna un capolavoro assoluto della composizione pianistica, e l’Opera 129 per violoncello un rapimento emotivo capace di trasformare l’anima. Senza di loro, non avrei suonato, non avrei amato la musica più di ogni altra cosa, non l’avrei passata a mia figlia.

Ringrazio il Maestro Marco Messina (89) e sua figlia Arianna per aver seguito mia figlia nel solfeggio per tanti anni: sono stati maestri capaci e affabili. Ringrazio l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, per aver creduto in Elène, quando era ancora piccina: grazie alle sue poltrone, al suo bar, ai suoi pomeriggi ho conosciuto e allacciato amicizia con persone preziose ed affini: Laura Serafini, Milena Di Fabio, Andrea e MariaRita Geronzi, Gianluca Savino, Manuela Stefanelli e tanti altri. Ringrazio il bravissimo Maestro Simone Genuini per averla portata avanti, dalla Kids 1 alla Teen Orchestra in anticipo rispetto ai tempi previsti, riconoscendole un talento speciale: a dieci anni era la più giovane musicista della Teen Orchestra. Ringrazio sopra tutti il Maestro Francesco Storino – violoncellista dell’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia – per aver preso sotto la sua ala magistrale Elène, credendo in lei al punto da farle eseguire il Concerto per violoncello n. 8 di Zoltan Kodaly e il Concerto n. 1 di Sostakovich a soli 10 anni! E’ stato un maestro vero, con un orecchio musicale finissimo, una dedizione totale all’insegnamento, una cultura musicale vastissima. Molta parte del successo di Elène dev’essere riconosciuta proprio a Lui.

Ringrazio le mie rockstar adorate, per la libertà che mi hanno trasmesso, per i lunghi capelli soffiati nel vento, per gli assoli di chitarra, per avere dimostrato che morire da giovani non è più maledetto che vivere normali. Ringrazio Freddie Mercury e Jimmy Page, i Dire Straits e i Pink Floyd. Ringrazio i Queen, i Foo Fighters e la loro bellissima Everlong, i Rage Against the Machine, i Greeta van Fleet, Beth Hart, Asaf Avidan e Damien Rice, Ben Howard, i Placebo, gli amati Smashing Pumpkins, Jimi Handrix, Lennie Kravitz e Steve Ray Vaughan, Phil Collins, i Pearl Jam e Eddie Vedder, Dave Matthews e la sua Band, Ben Harper e David Bowie, Johnny Cash, Marianne Faithfull e la sua deep water, i Madredeus e Teresa Salgueiro, Areta Franklin e Amy Waynause, per le voci di velluto che hanno soffiato sulle nostre spalle; Prince e i Black Keys, i Rolling Stones, gli Aerosmith e i Depeche Mode. Ringrazio Tom Waits per le sue liriche strazianti e lucidissime: nessuno aveva detto che si è innocenti quando si sogna. Ringrazio specialmente Marc Knopfler, Brian May e David Gilmour, senza i quali non avrei sognato di diventare un chitarrista, e forse non ci avrei nemmeno provato, come invece farò da vecchio. Ringrazio anche Vasco Rossi, per aver reclamato e vissuto una vita spericolata, per avere cantato che la vita è tutto un equilibrio sopra la follia; Ivano Fossati e Lucio Dalla, per la sua bellissima Cara, Fabrizio de André e Roberto Vecchioni, Francesco De Gregori e Francesco Guccini, Edoardo Bennato e Antonello Venditti, Fabio Concato e Nicolò Fabi: ho cantato e suonato le loro canzoni migliaia di volte. Alcune di esse sono state più che semplici storie: sono state bandiere d’amore e rivoluzione. Ringrazio Anna e Marco, tu come me, Compagno di scuola, Maria Maddalena, Rimmel e Viva L’Italia, Radici e La costruzione di un amore, E’ non è, Sangue del mio sangue. Ho raccontato in un libro (90) delle serate passate fra quattro amici di liceo, nel mio salotto a napoli, suonando come una rock band tutto il repertorio citato.
Insieme a tutti loro, ringrazio la Radio, la mia costante colonna sonora; ringrazio Virgin Radio, ringrazio Radio 3, per le sue pregiate suites di classica e ringrazio Fahrenheit, le cui belle letture mi hanno accompagnato quotidianamente, e la mia radio web “Poetry Corner”.

Ringrazio il pianoforte Scholze e quello Yamaha (91), per avermi reso un leader da bambino: potevo tirarmela, ero un pianista, oltreché uno scugnizzo! Ringrazio la Gibson Les Paul Custom R59 per avermi trasmesso una passione irrefrenabile per i timbri caldi e sporchi (92). Ringrazio i maghi del suono elettrico, i creatori di quei mitici e misteriosi humbuckers “Patented Applied For”: Seth Lover, innanzitutto, e i suoi epigoni Tim Show, Saymour Duncan, Tim White, Dave Stevens e Matt Gleeson: i loro pickups mi hanno appassionato quanto il seno di Venere. Ringrazio Roberto Fontanot, amico simpatico con cui ho modellato la mia Gibson esattamente come la fantasticavo. Ringrazio gli amplificatori Mike Soldano SLO 50 e Pete Cornish, il Tone King Imperial MKII Combo e il Fender DeVille, il Victoria Tone King e il Komet 29, le loro valvole d’uscita 6L6, quelle preamp 12AX7 e 5879 così calde e rauche: senza di essi, non avrei vissuto nella carne la magia di Brothers in Arms o di Confortably Numb.

Ringrazio la Fiat 500 targata NA 543029, nella quale ho imparato a guidare quando avevo 5 anni (93). E’ stata l’oggetto primario della mia infanzia. In essa ho condotto la mia famiglia estiva (zia Carla, zia Mema, Bianca e mio cugino Andrea) come una chiocciola, per i mercatini di Stornara e Stornarella, fino a giungere a Margherita di Savoia, al nostro amato Lido Haiti, ascoltando a tutta birra “Solo Tu” dei Matia Bazar e “Anima Mia” dei Cugini di Campagna. Le lunghe giornate trascorse a cercare telline, i pranzi surreali portati nel frigo, le melanzane ripiene a 40 gradi, le pere rinfrescate, le zucchine fritte! Tutto irreale, e quindi migliore di ogni esperienza (94). Ringrazio la Fiat Tipo, con cui per anni, di sabato sera, sono andato a Baia Murena, con la mia prima fidanzata, ritrovando ogni volta la sensazione di un paradiso che mi avrebbe segnato per sempre, la coscienza che quell’amore sarebbe stato irripetibile (95). Nella Fiat Tipo ho visto crescere mio padre; in essa ho dato il primo bacio, il 30 maggio ’86, alle 14.10, davanti a un garage sopra Sant’Eframo. In essa avrei dato anche l’ultimo.

Ringrazio le mie case adorate, le mie dimore, che mi hanno conferito la fiducia di stare al mondo, sostanziando quel senso di nostalgia malinconica senza la quale i ricordi e le speranze sarebbero diafane. Senza la casa di Marco Aurelio Severino (96) e Via Alessandria (97), senza la casa di “Pompei” ad Ascoli (98) non avrei avuto l’infanzia senza fine che invece ho ricevuto, non sarei quello che sono. Di queste case conosco i segreti, gli odori, la storia di ogni suppellettile. Ogni pietra, ogni cassetto, ogni pezzo di carta da parati, ogni dipinto, ogni riga sul pavimento è un segnapassi della mia vita.
Ringrazio anche la casa di XXVI Febbraio ad Aosta (99), per avermi permesso di giocare da giovane: ci ho passato giorni bellissimi, ci ho costruito letti sollevati e baldacchini dal cielo stellato, il sottoscala segreto. Ancora una volta, la fantasia doveva trasformare la realtà, rendendola irreale.
Ringrazio la casa di via Festaz, nella quale ho raccolto gli ultimi sguardi di zia Carla, zio Cosimo e mio padre (100). Spesso, nel suo unico soggiorno, si stava tutti insieme a cenare o guardare la TV. La Morte transitava col suo passo di velluto, e noi la invitavamo a sedersi, a confidarsi, perché fosse più amabile. Le dicevamo che un giorno avremmo scritto perfino di lei, come di una di noi.
Ringrazio il tugurio all’Amérique, nel quale ho scelto di vivere insieme ad alcolisti e tossicodipendenti (101). Era proprio un tugurio, ma aveva il fascino di un rifugio, letto e cucina tutto in uno. Ricordo le cene spartane, sempre uguali, una busta di songino, scatoletta di Rio Mare e mezza baguette, accompagnata da un bicchiere di Barbera. In quel tugurio, ho trascorso le serate da solo, suonando la mia Gibson, invano attendendo un amore che non sarebbe tornato.
Ringrazio la mia tomba di famiglia al cimitero di Ascoli, la mia prossima casa, nella quale prometto di ritrovarti, amore mio, nella quale ti raggiungerò, amico mio, per stringerti la mano, e stringerci tutti (102). La dixiosis è là. L’avvenire è dove ci attendiamo, in quella piccola casuccia così aerea e verdeggiante, dai pannelli voltaici e le cornici digitali, per raccontare al viandante cos’è stata una vita così lunga, fatta d’incontri e di passioni.

Allo stesso modo, sono grato alla vita di avermi fatto nascere e vivere nei luoghi più vivi del mondo, tra la gente delle strade di Napoli, le sue grida, la sua velocità, la sua bellezza mozzafiato, la sua storia che insegna e inorgoglisce. Sono rimasto capace di appassionarmi anche grazie a Napoli. Ringrazio l’Albergo dei Poveri e Carlo III per averlo concepito, ospitando quei relitti che nessuno voleva. Ringrazio i suoi ragazzi scartati, coi quali ho condiviso gli anni delle medie, ai Salesiani (103), imparando a campare e resistere. Di Napoli riconosco l’immensa cultura, il suo teatro, Eduardo e Scarpetta, Viviani, Petito, Basile, Moscato, De Berardinis Martone e tanti altri. Ringrazio la canzone napoletana e i suoi aedi, Roberto Murolo in primis, sulle cui melodie mia figlia è riuscita a addormentarsi. Ringrazio il presepio, così bello, così vero, così ipnotico e quieto. Ringrazio le fanfare, la Madonna dell’Arco, i suoi musicanti di bianco vestiti, i fuochi perenni d’artificio.
Al contrario di Napoli, che per me rappresenta l’impegno e la complessità, Ascoli è stata l’estate lunghissima, l’infanzia spensierata. Ricordo i giorni trascorsi a giocare a pallone, a palline, a secchietiell’ a nascondino; le guerre con le pietre, le conquiste di territori rivali, gli appostamenti dalle Murge, le giornate passate a giocare sull’asfalto delle suore, disegnando le linee di un campo da tennis con pietre di gesso, utilizzando per rete le sacchette di patate (104). Ringrazio le messe da chierichetto e le processioni, San Potito e la Madonna del Carmine, le corse per Santa Maria e i fumi delle salsicce nelle Feste dell’Unità (105). Ringrazio la sorte di avermi fatto vivere ad Ascoli, le cui estati sono state le sole stagioni in cui ho assaporato la serenità, e tra i cui cipressi un giorno me ne andrò a sognare.
Ringrazio Roisan, dove per la prima volta ho avuto una casa anche mia (106). Questa casa ha rappresentato l’ultima fantasticheria di vivere insieme, di vivere in molti, tra molte famiglie in essa riunite. Ci abbiamo passati anni difficili e meravigliosi, nel via vai delle badanti che andavano e venivano dall’impegno insostenibile di stare accanto a una donna che muore. In essa, si è addormenta per sempre zia Mema, tra le mie braccia. Quella casa è stata i suoi fiori, rarissimi, a migliaia, è stata i suoi tre piani e le sue stanze, ha permesso a ognuno di noi di trovare lo spazio della propria identità; potevi incontrarci la psicoanalisi e la musica, la pittura e le fotografie, l’artigianato e l’orticultura, la letteratura e la poesia, la cucina e l’intrattenimento. Poi, a poco a poco, la vita è sparita. Uno dopo l’altro, come nella scena di un film, ognuna delle persone amate si è avviata verso l’eterno, lasciandoci in dote il silenzio ingombrante dei ricordi. Siamo andati via anche noi, alla fine.
Ringrazio Roma, per avermi accolto a lungo, nei vent’anni giovanili in cui viaggiavo tra l’amore e l’inferno: nella casa di zio Cosimo e Letizia ho conosciuto i profumi, i borghi medievali; ho trascorso i Natali a Scandriglia. Direi che la cucina di zio Cosimo è stata il set cinematografico di una storia familiare così ricca di sapori, d’impasti per dolcetti, pecorini e capocolli, biscottini al vino bianco e scartellate al vino cotto, sullo sfondo di un ambiente che era talmente povero e piccolo da essere magico e poetico, col suo frigo FIAT e i suoi pensili che stavano in piedi per miracolo (107). Roma è stata per anni la scena felice della mia analisi con Novelletto (108), grazie alla quale potevo esistere finalmente diviso, senza tema di immoralità.
Ringrazio Parigi (109), per avermi insegnato a custodire la bellezza e la poesia. In essa, ho trovato la veste culturale per ciò che pensavo dell’engagement e dell’apertura mentale.
Ringrazio Marrakesh (110), per avermi fatto sognare un mondo diverso, un’umanità possibile e giusta, benché povera. Place Jemaa-El-Fna è l’ideale rappresentazione di come l’umanità potrebbe vivere, in modo essenziale, investendo sulle relazioni e la convivialità (111). Un giorno ne ho scritto, al pari di Mohammed Faouzi (Passages, n. 2/2002), come del “patrimonio orale dell’umanità”, dell’unico luogo ormai rimasto in cui le genti di origini diverse non hanno paura di mangiare affianco all’altro, di toccarsi, di prendere il pane a mani nude, di imboccare la carne di agnello a mani nude.
Infine, ringrazio Sparta (112), l’antica fortezza della Grecia, patria degli ideali di coraggio e lealtà che ho sempre riconosciuto come essenziali. E’ stata la città di Leonida, e il mondo ricorda ancora che grazie al sacrificio dei 300 spartiati alle Termopili la Grecia poté riunirsi e sconfiggere la Persia. A Sparta è nata mia figlia, la donna più amata della storia, Elène di Sparta, per la cui bellezza persero la testa Teseo e Menelao, Paride e Zeus. Mi sono sentito spartano quanto napoletano. A Sparta (Monenvasìa) è nato Ghiannis Ritsos.
E ringrazio per sempre il mare. Il mare di Margherita (113), dove è custodita l’estate della mia anima, la scena spensierata di un’infanzia interminata. Il mare di Margherita, il lido Haiti, il Lido Hotel, il Lido Terme. Su quelle spiagge ho visto il tempo tracciare un segno di vita, figgere un punto, e i gabbiani lontano volare. Quel mare, le sue spiagge, spero siano the last landscape, for me.

Ringrazio i tanti giochi e giocattoli avuti, che mi hanno appassionato e fatto crescere nella conoscenza e nell’amore quanto un libro o un bacio: la mia prima Ferrari a pedali (114), la mia prima Maxima Deluxe (115), il Policar (116), il Superotto (117), il Subbuteo (118), le fionde a molle rosse o gialle ottenute rubando le camere d’aria di biciclette e mieti-trebbie (119), la carrozza con i cuscinetti a sfera sottratti a mastro Fiore, la Graziella (120), il pallone di cuoio giallo Olimpia (121), il Super Santos arancione (122), gli album Panini (123), le figurine dei giocatori, il gioco a pacchett‘, la barca radiocomandata (124). Ringrazio gli acquerelli, con cui mio padre mi spingeva a disegnare quando avevo cinque anni. Un giorni mi ammalai. Lui fece un acquerello al posto mio, una sorta di bancarella di pesce, sul lungomare di Mergellina. Gli insegnanti della mia scuola non si avvidero che il disegno era suo, e mi conferirono il primo premio, che consistette nell’andare a vedere la prima del Candelaio, di Giordano Bruno, al Teatro San Ferdinando di Napoli, dove mi trovai di fronte una parata di donne giovani, tutte nude! Ringrazio i maglioni di lana fatti a mano: gilets, cardican, maglioni a giro collo, maglioni a V. Per venticinque lunghi anni, lana e ferri hanno costituito il sottofondo operoso della mia famiglia. Lo sferruzzio dei ferri tra le mani di zia Carla era il nastro continuo che punteggiava le nostre giornate. Ogni maglione costituiva una festa, un legame ancora più forte con la mia famiglia. Quei maglioni fatti a mano hanno peraltro rappresentato il continuum tra me e mio padre. Ringrazio l’arco da tiro sportivo comperato da Diana, e le sessioni di tiro in cui, a casa mia, tiravo frecce che attraversavano il corridoio, rischiando di uccidere qualcuno! Ringrazio il binocolo Hoya comprato da Leone, la Nikon F5 da 4 milioni di lire (125); la Tanfoglio sportiva, la Dallera fatta a mano (126), la Colt cromata 45 ACP (127), la carabina BCM Extreme Long Range Match 338 Lapua Mag e il tiro Long Rifle (128). Ringrazio gli album fotografici, a cui ho delegato la memoria del nostro volo. Ho sempre pensato che le vite dovrebbero essere come gli album, in cui conserviamo le facce più vere, più belle, più serene, lasciando fuori scena la rabbia e l’invidia, il tempo e l’abbrutimento. Ringrazio le mie penne stilografiche, la prima ed ultima Aurora (129), d’oro e d’argento, le pergamene di Amalfi, su cui ho scritto le poesie giovanili.
Ringrazio i miei profumi quotidiani (130), mia madre e le mie zie che mi hanno accompagnato per le strade di Foggia a comperarli, d’estate, in piena controra: Borsalino e Fahrenheit, Azzaro e Lacoste; ringrazio Phileas (131) – con cui mi profumerò prima di andarmene -; ringrazio Valentino e i Coloniali di Atkinson’s; Terre d’Hermès e Jean Claude Hellena per Angelique sous la pluie (132).
Ringrazio la Coca Cola (133), a cui sono rimasto fedele quarant’anni, il camillino e la “barracchella” in piazza d’Ascoli (134), i gelati di Malafavec’ (135), lo zuccotto e l’agnello alla cacciatora, il ragù napoletano e la matriciana di Emilio, in via Alessandria.
Ringrazio il migliori doni di Dio, il cornetto crema e amarena di Bellavita (136), gli struffoli e la pastiera di zio Pino (137), la pizza napoletana, quella di Rosa (138), soprattutto, dove ho portato tutta la mia famiglia e tutti i miei amici, da quasi cinquant’anni, e poi quella di Michele, Di Matteo, la “vecchiarella”. Ringrazio le diete e le abbuffate, il pecorino pugliese e l’olio ascolano (139); ringrazio l’Amarone e l’Aglianicone, il barbera di Conterno e il Recioto di Guarneri, il Comptesse de Pitrey del ’97 (140) e il Grand Echezeux grand cru. Ringrazio la Scozia e l’isola di Skye, i miei whisky favolosi, il Lagavulin 16, il Bunnahabhain di Wilson & Morgan, il Talisker 18, l’Ardbeg Uigeadail.

Ringrazio il giardino di Roisan (141), in cui ho realizzato l’ideale hortus inclusus della mia fantasia, piantandovi 400 piante rare, daphne odorose ed amaryllis, calicanti, rose di Barni e magnifiche magnolie – la soulangeana, la campbelli, la linnei alba, la yellow lantern, la bianca atena, la olimpia, la apollo, la sieboldii, la march til frost, la macrofilla : nei loro calici profumati mi sono perso, come dovrebbe accadere in ogni estasi d’amore.

Ringrazio il tennis, per cui ho cominciato in un campo sperduto a San Pietro a Patierno (142), per poi finire al Tennis Club Sport Boom, a Calata Capodichiano e finalmente nel campo di tutta la mia vita, ad Ascoli, sopra Pompei. Ringrazio la Maxima con le corde tirate a 24, in memoria della quale ho scritto la prima poesia! Borg e MacEnroe, Agassi e Federer. Ringrazio il biliardo, sul cui tavolo verde ho carezzato migliaia di serate, parlando di viaggi e di ragazze. Ringrazio il pool “a strisce e senza strisce”, la stecca Predator Z 3 uni-lock; il tavolo da boccette e i pomeriggi da Gigino (143); ringrazio il nascondino (144), le corse in bicicletta, la capanna sulle Murge (145), i vasi della Grecia scavati nella mia vigna (146), in cui fioriva un paradiso di ulivi secolari, di viti, nocciole, sorbole, pere, prugne rosse e gialle, albicocche, cibi di paradiso, mandorle, noci, melograni, e dove regnava un piccolo gazebo di uvaspina, sotto la cui frescura io e mio zio ci addormentavamo, nell’ora della controra.
Ringrazio le partite “arret’ edifizie’ (147) e quelle all’Enaoli (148). Ringrazio la scuola Alberto Mario (149), dove ho imparato la ginnastica a corpo libero, indossando la prima tuta di panno blu: ricordo ancora la palestra, l’atmosfera buia, i pomeriggi coi pochi bambini, il tonfo di uno Spalding. Ringrazio il Liceo Garibaldi, i suoi insegnanti strampalati (150), la Alfano, la Balsamo, La Lamba, la Polara, Alparone, la Sarpi; ringrazio i suoi studenti strampalati, capaci di portarsi in classe gamelle di pasta, o capaci di tradurre una versione di greco con un vocabolario di lingua moderna! Capaci di scaccolarsi pubblicamente durante un’interrogazione sulla celebre declinazione rosa, rosae, rosae… (151). La loro povertà culturale, la loro ingenuità mi faceva pensare che la vita dà una chance a tutti, e tutti possono trovare un posto nel mondo. Ringrazio il suo campo di pallavolo, in cui spendevo felicemente il mio tempo a guardare il Mikasa rimbalzare, oltreché le belle cosce delle ragazze della Terza E. Ringrazio la libreria Guida a Port’Alba, quella di Piazza San Domenico e quella a via Merliani, quella dell’Einaudi a Corso Vittorio Emanuele: in esse ho speso milioni di lire e acquistato migliaia di libri, tra cui le cui pagine ho cercato di essere migliore. Ancor prima, ringrazio la libreria La Luna, di Ascoli, nella quale ritirai le decine di libri avuti in premio per aver vinto un concorso provinciale sulla “storiografia marxista di Romolo Caggese”, a 15 anni.

Ringrazio la malattia, quell’idra a cento teste che mi ha contrastato fin da bambino. Ringrazio l’obesità, le diete infinite, l’Hashimoto, le cataratte primarie, quelle secondarie, le retinopatie, le capsulotomie, la miopia, l’astigmatismo, lo yag laser e quello a eccimeri; ringrazio la tonsillite, il TAS elevato, la tonsillectomia, le migliaia di infezioni orali e respiratorie contratte grazie ad essa, le tracheiti, le laringiti, le bronchiti; le parodontiti e le retrazioni ossee, le carie, la malocclusione e la deviazione vertebrale; la siringomielia e le ernie discali; le consunzioni articolari e le rotture tendinee: ringrazio l’Ambri bilaterale e l’Ehler-Danlos, la calcificazione delle cartilagini dell’anca e del ginocchio, le iniezioni di ialuronico e piastrine; gli alluci deviati e le affezioni intestinali, le trombosi e le ricuciture, le resezioni sfinteriche, l’adenoma prostatico, l’ipertonia del vescicale, la policistosi epatorenale, la dislipidemia familiare e l’ulcera gastrica; ringrazio la mia maladie de l’amour, che ho protetto con litri di ansiolitici, e l’infinita paura del cancro, che in sé ha riassunto tutta la mia angoscia di vivere. Ringrazio le mie malattie, dunque. Mi hanno avvicinato all’idea della morte, permettendomi di teorizzarla e comprenderla, di attenderla finanche. La maladie de la mort.

Ringrazio tutti gli amici e gli Autori che hanno reso possibile l’avventura della rivista Passages (152), dando credito a un ragazzino che dalla sua non aveva alcuna autorità, se non quella della passione e della cultura. Ringrazio Luciano Violante e Pedrag Matvejevic, Gilberto Di Petta, per la sua infaticabile ricerca fenomenologica, Valeriu Butulescu e Caterina Anghelaki-Rooke, Livia Turco, Edo Ronchi e Giorgio Ruffolo; Dragan Ivanovic Danilov e Luca Gherasim, Roberto Vigliani, Chiara Merighi e Sara Colafranceschi, Cinzia Sciuto e Marco Foretier, Edoardo Ferrario, Sebastiano Mafettone, Giacomo Marramao e Maurizio Ferraris; Mohammed Lamsuni e Hamza Riccardo, Abderamman Tenkoul ed Eugenio Borgna, Agata Spinelli e Marco Franco d’Astice. Ringrazio Giuseppe Manfridi (153) , Paolo Puppa (154) e Cesare De Seta: con la loro enorme cultura hanno scritto pezzi memorabili! Ringrazio Sofia Demetrula Rosati e Tiziana Cavasino, Philippe Sollers e Alain Jouffroy. Ringrazio Franco Loi e Giorgio Barberi Squarotti (155), per la loro accoglienza e loro poesie, donate con generosità.
Ringrazio Giannino Balbis (156) e Rocco Mario Morano (157), poeti e critici, colti e ospitali, per la dedizione, la raffinatezza e il tempo impegnati nell’introdurre i miei libri.
Ringrazio con eterna riconoscenza Hans Raimund (158), poeta magnifico che con altruismo e precisione ha tradotto in tedesco la mia opera La dimensione della perdita, e sua moglie Franziska per avermi ospitato a casa, facendomi trascorre giorni felici.
Ringrazio con la stessa riconoscenza Michael Palma (159) che, tra una fatica dantesca e l’altra, ha trovato il tempo e l’entusiasmo per tradurre negli States due miei libri.
Ringrazio il Lyrik Kabinett di Monaco, il suo direttore Holger Pils e la sua vice direttrice, Pia-Elisabeth Leuschner (160), appassionata, gentile, generosa cultrice di poeti e poesie, che il 28 settembre 2022 mi ha invitato alla manifestazione “La tarda estate dei poeti”, in rappresentanza dell’Italia, e leggere poesie del volume La dimensione della perdita.

Ringrazio i miei fotografi meravigliosi, Andrè Kertesz (161) e Henri Cartier-Bresson, Raymond Depardon e James Nachtway, Ferdinando Scianna e Sebastiao Salgado, Abbas Kiarostami e Elliott Erwitt: un giorno, a piazza Navona, sono capitato davanti alla foto di Place Wahington, e sono stato folgorato. Ho sempre pensato che la mia poetica si traduce in una fotografia, dove la poesia non aggiunge nulla alla realtà, semplicemente ne coglie la complessità, da angoli inusuali. Senza questi fotografi, non avrei imparato a piegarmi, per cogliere la bellezza della realtà.

Ringrazio i miei pittori speciali, fratelli di incanto e di dolore: con loro sono entrato nella luce, nelle tenebre, nel sangue. Ringrazio Caravaggio, Vincent van Gogh e George Rouault, Jackson Pollock e Arshyle Gorky, Marc Chagall e Edward Hopper, Francis Bacon e Vladimir Velickovic. Nulla, come le loro gabbie, i loro vuoti, le loro ombre e i loro soggetti trasognanti hanno colto la verità, che va scavata dal buio e dalla quotidianità.

Ringrazio i miei registi preferiti, Theo Angelopoulos e Ingmar Bergman, Patrice Leconte e Woody Allen. Nei loro film ho passato molta parte della vita. Mi hanno insegnato come tenere vivo il disequilibrio, la creatività e il desiderio. Mi hanno insegnato l’uso dell’imprevisto nella trama della vita. Mi hanno aperto gli occhi sui conflitti e il disamore, che appartiene all’amore.

Ringrazio quei maestri preziosi e imprevisti, lunari e indefinibili, che ho incontrato spesso per caso, come asteroidi, e che pure mi hanno stregato e cambiato. Ringrazio la madre e il padre di Pino, Anna e Giovanni (162), il loro sorriso, la loro accondiscendenza: li ringrazio per esserci stati, quando era possibile sognare ancora; ringrazio i Salesiani Don Bosco, che mi hanno accolto e formato alla vita, stemperando le mie attitudini più intellettuali e coltivando quelle più inclusive. Sono stati capaci di appassionarmi ai poveri dell’Ospizio e alla recitazione. Ringrazio le suore missionarie della carità, a Napoli, per avermi insegnato a togliere le scarpe ai poveri dai piedi piagati. Ricordo quei sabato sera in cui trovavo più interessante dare una mano a queste sorelle che andare in discoteca. Ringrazio i bambini e gli istitutori dell’Istituto Colosimo di Napoli, dove ho conosciuto e frequentato bambini ciechi, muti e sordi. Nonostante questa loro terribile condizione, mi hanno insegnato a cogliere la verità delle persone, soltanto toccandole. Ringrazio Alfonso Liguori (163), per avermi introdotto al teatro, e l’Accademia Silvio d’Amico per avermelo fatto sognare. Ringrazio il teatro Nuovo di Napoli e Renato Carpentieri, per avermi fatto fare l’esperienza dell’aiuto regista. Ringrazio Marcel Marceau e Jacques Lecoq per aver inventato il silenzio che parla: dal loro allievo Michele Monetta ho imparato a inclinarmi fino al punto di caduta, in molte delle serate più lunari della mia giovinezza, al teatro dei piccoli nell’Edenlandia, a Napoli. Ringrazio Charlie Chaplin, la cui opera omnia mi feci regalare come regalo di laurea! E’ stato un modello di essenzialità e tragicità, due tratti per me importanti in ogni forma d’arte. Ringrazio Stan Laurel e Oliver Hardy, per aver inventato tutto ciò che ancora ci fa ridere, e Buster Keaton per avermi fatto sognare senza chiedermi perché. Ringrazio Ariane Mnouckine visionaria e geniale, creatrice del Theatre du Soleil, grazie al quale il volo è diventato arte. Ringrazio Jacques Coupeau, per avermi insegnato che la passione è la vita intera dedicata a qualcosa: non importa quanto famoso tu sia, importa che ti sia dedicato alla tua arte tutti i giorni. Ha creato il Theatre du Vieux-Colombier e ci ha vissuto dentro. Ringrazio il miglior attore teatrale di sempre, Vittorio Gassman, che spesso ho incontrato nei luoghi della depressione, e che pure mi ha teso la mano per alzarmi da terra. Ringrazio il miglior regista di sempre, Eugenio Barba, uomo straordinario e geniale, fautore del teatro baratto, che un giorno, a Mercato San Severino, mi ha scelto fra gli astanti e invitato a seguirlo in Norvegia: ho avuto paura di essere me stesso, e da allora in poi ho buttato la vita in un secchio. Ringrazio Peter Brook, Jerzy Grotowski e Tadeusz Kantor: hanno cambiato per sempre il teatro, rendendolo povero, magico e utile. Ringrazio il Teatro di Pontedera e quello di Fara Sabina, dove da giovane mi allenavo a sognare la scena che non ho mai avuto. Ringrazio Julian Beck e Judith Malina, per aver incarnato la libertà del desiderio e dell’impegno. Ringrazio Luigi Pirandello e Anton Cechov, Ibsen e Strindberg: ho letto tutte le loro opere, perché con lucidità inarrivabile hanno denunciato ante litteram l’ipocrisia della morale, decostruendo la scena del matrimonio borghese. Ringrazio Erwin Piscator per il suo teatro di protesta sociale e Berthold Brecht, per la sua poesia, la sua coerenza, la dignità con cui ha accettato l’esilio: è stato un poster d’adolescenza, per me. Ringrazio Philippe Petit, per aver testimoniato del vero equilibrio, quello che oscilla, quello conquistato rischiando sul vuoto. Ringrazio Arnaldo Novelletto, il mio padre-analista, con cui ho trascorso la mia dolce vita romana e l’ultimo giorno della sua vita. Ringrazio Gerardo Marotta, il mio padre-filosofo (164), per avermi aperto la sua magnifica casa e le porte dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici: con lui e la sua famiglia abbiamo trascorso giorni e letture bellissime, perduti tra i boschi del Gargano. Ringrazio Charles Garfield, inventore del progetto Shanti. Ha donato la vita ai malati terminali, raccogliendo volontari scelti non per le loro competenze tecniche ma per la loro capacità di condividere l’angoscia e il silenzio della morte. E’ stato straordinario (165). Ringrazio Albert Schweitzer, per aver donato la propria vita al servizio dei poveri, degli ultimi: è stato un maestro di altruismo. Ringrazio Karol Woityla, per la serietà con cui ha vissuto il proprio magistero e la propria vita: non dimenticherò il suo viso e il suo sguardo fermo e sofferente, in ginocchio, davanti alla porta di San Pietro.
Ringrazio Nicola Crocetti (wikipedia), uomo coraggioso, leale, coltissimo. E’ arrivato in Italia sessant’anni fa, e con le sue sole forze ha fondato la migliore rivista di cultura poetica italiana e internazionale: “Poesia”. L’ha portata avanti per oltre trentacinque anni. Ha pubblicato migliaia di Autori, ha scoperto centinaia di giovani poeti. E’ stato uno dei maggiori traduttori greci in Italia. Ha tradotto molta parte dell’opera di Ghiannis Ritsos, l’Odissea di N. Katzanzakis, oltre a centinaia di altri Autori greci, da Kavafis ad Elitis. Senza Nicola Crocetti tutta l’avventura della poesia, delle mie pubblicazioni e della rivista Passages non sarebbe esistita (166). A lui è dedicata l’enorme biblioteca di Poesia che sarà ospitata nella cornice neoclassica di Villa Ricciardi, ad Ascoli Satriano, e che sarà attiva da settembre 2023. A Nicola sono grato non solo per avermi fatto conoscere i grandi e venerati maestri del Novecento, quanto e soprattutto per avermi inserito nella famiglia dei poeti italiani.

Ringrazio i poeti più amati, nelle cui parole mi sono perso e ritrovato. Se ho salvato la pelle è soprattutto grazie a loro. Ringrazio Omero e Sofocle, il mio adorato Euripide, la cui Alcesti ho portato all’esame di maturità. Ringrazio Virgilio e le sue Bucoliche, che ho tradotto in una calda e bellissima estate ascolana, Catullo e le sue pene; Orazio per le sue poesie così lucide, Petrarca e Holderlin, Leopardi e Pascoli per avermi introdotto alla dimensione della perdita. Ringrazio Jean Paul Verlaine e Charles Baudelaire, grazie ai quali ho amato la Francia e lo spleen; Vladimir Majakovskij e Sergej Esenin per avermi insegnato che “morire non è nuovo, ma più nuovo non è di certo vivere”. Ringrazio Marcel Proust, per aver nobilitato la ricerca del tempo perduto, su cui anch’io ho speso la mia vita, e Jorge Luis Borges, per aver portato la meraviglia nella poesia. Ringrazio Harold Pinter, Jean Genet, Eugene Ionesco e Samuel Beckett: sono stato vladimiro ed estragone, ho avuto moltissimi beaux jours, ho vissuto tra le sedie, sono stato anch’io un santo, commediante e martire, ho riascoltato l‘ultimo nastro di Krapp ogni volta che ho perduto l’amore. Ringrazio Vaclav Havel, per avermi invitato a casa, nel 2000, trattandomi con grazia e gentilezza: era già uno dei migliori drammaturghi dell’Assurdo e un capo di Stato, ed io soltanto un ragazzo appassionato. Ringrazio soprattutto Arthur Adamov: mai avevo toccato tanta disperata bellezza come nella sua Confessione; ringrazio Martin Essler per avermela fatta conoscere e M.me Jacqueline Autrusseau-Adamov per avermene permesso la traduzione. E’ stata un vero capolavoro, messo in scena nel maggio 2008 da Roberto Trifirò, al Teatro Out Off di Milano. Ringrazio Franz Kafka, per aver portato profondità alla letteratura e Fedor Dostoevski, per la stessa ragione: i loro romanzi sono opere psicoanalitiche novecentesche. Ringrazio Giuseppe Ungaretti e Vincenzo Cardarelli, Sergio Solmi, Alfonso Gatto e Franco Fortini, Salvatore Quasimodo e Mario Luzi, Giorgio Caproni ed Eugenio Montale: ho camminato per anni con le loro foto nel portafogli, e un giorno, a un Carabiniere che mi aveva multato per una scritta su un muro di Posillipo, ho detto che “quello (Quasimodo) è mio padre”. Ringrazio Pasolini e le sue Ceneri di Gramsci, così intense; lo ringrazio per essere stato un ideale di coraggio, di anticonformismo, di creatività, di libertà. Ringrazio Paul Eluard e la sua poesia ininterrotta, la sua grazia, la sua eleganza; Pedro Salinas e la sua eterna presenza; ringrazio Alda Merini e Wislawa Szymborska, Marina Cvetaeva ed Elsa Morante: il suo addio è una delle liriche più belle di sempre. Ringrazio Patrizia Valduga per il suo Requiem, che ho letto molte di volte: è una testimonianza di grande intensità affettiva e poetica. Ringrazio le mie margherite, Yourcenar e Duras: mi hanno insegnato che la forza di un poeta sta nel continuare a scrivere, al di là del deserto, sotto le cui sembianze la mia vita oggi mi appare. Ringrazio Vittorio Sereni e Edgar Lee-Masters, perché è vero che dare un senso alla vita può condurre alla follia, ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio, è una nave che anela il mare eppure lo teme. Ringrazio Josif Brodskij per le sue ampie volute poetiche. Ringrazio Dominique Grandmont, sulle cui pagine mi sono esercitato per anni a tradurre l’intraducibile del reale. Ringrazio i più grandi poeti d’amore del Novecento, Pablo Neruda e Jacques Prévert, Adonis e Hikmet, per avermi insegnato che la semplicità è la cifra stilistica della grande poesia. Ringrazio Paul Celan, ringrazio soprattutto Giovanni Giudici, le cui pagine ho letto e riletto fino a parlarne la lingua. Ringrazio il mio venerato Ghiannis Ritsos, nei cui personaggi sono diventato un uomo, prima che un poeta.

Ringrazio la mia compagna – Chiara – che ha rinunciato e chiedermi il conto dei viaggi, lasciandomi acquisire bellezza e intelligenza. E’ stata una pittrice sognante – le cui tele rievocano la magia di un paese delle meraviglie (167) -, una filosofa impegnata in eventi e riviste (168), un’analista speciale, capace di assumersi il dolore di tutti coloro che ha preso in braccio, trasformandolo in sogno, dirigendoli nel fiume, come “big fish” (169). La ringrazio per essere rimasta, nella mia vita, creditore che abbuona il debito. Grazie a lei sono rimasto quello che volevo, un uomo diviso e complesso, un albatro che ogni tanto ritorna nel vento.

Ancora, ringrazio mia figlia Elène, regina di Sparta (170). Con lei ho ritrovato infanzia e storia, speranza e forza. Con lei ho trascorso tutti i pomeriggi della nostra vita, per quindici anni, ho suonato due ore al giorno, ho viaggiato in treno per Santa Cecilia tutte le settimane per sette anni, ho lottato e trepidato affianco a lei, cercando di afferrare la meraviglia di un violoncello sulle cui note, un giorno, volerà per il mondo.

Infine, ringrazio la vita – qualunque cosa significhi questo insieme penoso e incantevole, fuggente e infinito – per avermi reso così incline alle passioni, così conscio del dono ricevuto, così pronto ad essere grato.

Enzo Lamartora

poeta, scrittore, traduttore

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